Lo ha stabilito il Tribunale di Como in una recente sentenza (sentenza 8.03.2021 n. 266).
Chiamato a pronunciarsi in tema di addebito della separazione personale dei coniugi, il Tribunale di Como ha affermato che le condotte di aggressione e minacce, insulti e denigrazioni, compiuti anche attraverso social network, da un coniuge nei confronti dell’altro, costituiscano causa della crisi coniugale e dell’intollerabilità della convivenza, tali da legittimare l’addebito della separazione.
Nel caso specifico, il Giudice accertato gravi violazioni dei doveri coniugali poste in essere dal marito nei confronti della moglie, concretizzatesi in aggressioni e minacce fisiche, ma anche in condotte controllanti, minatorie ed ingiuriose nei confronti del coniuge, quali l’installazione di microspie nell’abitazione, nella borsa e nell’orologio che era costretta ad indossare, minacce di morte contenute in manoscritti, sms e messaggi, e minacce di divulgazione di filmini pornografici, insulti e denigrazioni attraverso falsi profili Facebook appositamente creati.
Tali condotte hanno concretato abusi psicologici e comportamenti finalizzati a controllare emotivamente la moglie, tanto da porre la stessa in una condizione di sudditanza psicologica, e pertanto sono stati ritenuti idonei a causare la rottura coniugale e rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza con il marito.
Tra i comportamenti ritenuti rilevanti ai fini della pronuncia di addebito, il Tribunale di Como ha considerato la diffusione, a mezzo social network, di insulti e denigrazioni ai danni del coniuge.
La lesione dell’integrità morale e sociale dell’altro coniuge, realizzata mediante insulti e denigrazioni diffusi attraverso falsi profili social, appositamente creati, con la finalità di arrecare un pregiudizio al coniuge, è stata ritenuta dal Tribunale avere una portata molto più ampia rispetto ad altri casi esaminati dalla giurusprudenza.
Nel caso in esame, infatti, la denigrazione è stata estesa ben oltre l’ambito parentale ed amicale, rendendo l’offesa assai più grave in considerazione della diffusione del mezzo internet, in particolare del social network “Facebook”, così che il contenuto diffamatorio è diventato accessibile ad una moltitudine indeterminata di soggetti. Il comportamento riprovato, pertanto, cosciente e volontario, era finalizzato a ledere il coniuge e offenderne l’onore, il decoro e la reputazione, nonché esporre la medesima al pubblico disprezzo. In casi simili, la giurisprudenza penale ha ritenuto sussistere il reato di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 comma 3 c.p.
In conclusione, pertanto, l’addebito della separazione è stato ritenuto essere conseguenza sia della violazione dei doveri primari del matrimonio che della violazione dei diritti fondamentali della persona previsti dall’ordinamento, quali l’incolumità, la dignità e la reputazione del coniuge, che possono essere lesi attraverso violenze e insulti diffusi a mezzo social network.